di Letizia Zoffoli
Laurea magistrale in scienze filosofiche Università degli studi “Carlo Bo” di Urbino
Studente II anno al Master triennale in Counseling Filosofico ISFiPP (Torino).
Come si vive ai tempi del coronavirus?
La prima cosa che dall’inizio di questa emergenza ho pensato è che ci stessero togliendo tutto e così è stato: libertà di movimento, diritto di lavorare, ma soprattutto ci hanno tolto la socialità, ancora peggio l’altro è diventato il nemico.
Mi sono posta l’antica domanda filosofica: a cosa siamo disposti a rinunciare in nome di un bene superiore? Quanta libertà siamo disposti a cedere?
In situazioni normali nessuno di noi si lascerebbe dire dove può andare, quanto si può allontanare, in che perimetro deve restare, ci parrebbe assurdo e ci ribelleremmo con tutte le nostre forze. Eppure oggi lo facciamo in nome della salute comune (un bene superiore appunto, o presunto tale).
La stessa cosa vale per il lavoro: quale esercente o imprenditore accetterebbe orari imposti o addirittura la chiusura forzata della propria attività? Eppure oggi ubbidiamo. Ma la cosa che mi preme più è la socialità.
Cos’è l’uomo se non da sempre un “animale sociale”? Siamo fatti per stare con gli altri per vivere di relazione.
Di questi tempi se abbiamo un contatto con qualcuno è severamente regolato (la mascherina, un metro di distanza) perché l’altro è potenzialmente il nemico, il portatore del virus, la causa di un possibile contagio. L’altro ci fa paura. Non riconosciamo più in lui la sua umanità che è uguale alla nostra umanità.
Siamo sempre più soli.
Parlando recentemente al telefono con un amico lui mi ha risposto che c’è whatsapp per stare vicini, ma che modo è di stare vicini? È un modo comunicare, non per stare vinci (che poi di questi tempi occorra fare di necessità virtù è un altro discorso).
Non possiamo ridurci a questo, non possiamo faci bastare whatsapp o qualche altro mezzo, e ribadisco mezzo, di comunicazione virtuale. Non basta la tv. Occorre poter tornare a guardarsi negli occhi e riconoscere un amico, potergli stringere la mano, poterlo abbracciare, poter andare a cena, a prendere un gelato, a fare una passeggiata con lui. Occorre ritrovare l’altro non più dietro ad uno schermo e non più come nemico.
Come si vive ai tempi del coronavirus?
Privi di libertà, ma soprattutto di umanità.