di Caterina Dominioni
Laureata in Psicologia del Lavoro e delle Organizzazioni presso l’Università La Sapienza di Roma.
Studente II anno al Master triennale in Counseling Filosofico ISFiPP (Torino).
Manager della formazione in una multinazionale.
Il tempo che la maggioranza di noi sta vivendo, non è il tempo di sempre.
Questo tempo ha un gusto indigesto, estraneo.
Limitati nella nostra libertà, negli spostamenti, nelle interazioni, esperiamo un tempo sospeso, incantato.
In questo isolamento solitario o pseudo solitario in piccoli nuclei familiari, che ci protegge, dicono, dal morbo, siamo faccia a faccia, senza mascherine con il tempo.
Non il tempo degli orologi, quello continua a scorrere in modo uniforme, regolare, fregandosene bellamente di noi e del Virus, ma il tempo intimo, soggettivo, psichico, che siamo noi in qualche misura a determinare.
A questo proposito mi torna in mente il libro La Montagna Incantata di Thomas Mann, in cui si narra di un giovane ingegnere tedesco, Hans Castorp, che all’inizio del XX secolo si reca in un sanatorio di malattie polmonari in Svizzera per far visita al cugino malato. L’intento di Hans era di restare lassù soltanto 3 settimane, ma vi rimase, infine 7 anni senza averlo deciso e senza opporsi.
Sette anni in una situazione quasi irreale, sospesa, di allontanamento dal mondo, di estraniamento da tutto ciò che gli era familiare, abituale, consueto e proprio. Il tempo incantato di Hans ha ritmi nuovi, è scandito in modo diverso, straordinario, è un tempo che sfugge nonostante provi lassù a fissarlo con puntelli dettati dalle circostanze: colazioni, riposi, passeggiate nel cortile, letture…
La Montagna Incantata ci ammonisce a non avere una concezione fuorviante del tempo. Infatti, comunemente si crede che avvenimenti, azioni, contenuti interessanti “facciano passare”, cioè accorcino il tempo, mentre il vuoto e la monotonia lo rallentino.
Niente di più falso.
Ad uno sguardo più attento e successivo, la monotonia, la ripetizione sviliscono e polverizzano il tempo sino all’annientamento. Lunghi periodi di tempo uniformi paradossalmente si restringono, se un giorno è come tutti allora tutti i giorni sono come uno solo ed un periodo lungo sarebbe in realtà, percepito successivamente come brevissimo e vuoto.
Viceversa, un contenuto vario e interessante restituisce, ad un’analisi successiva, peso, solidità di un tempo pieno, più ampio e dilatato.
Io non so se da questa vicenda ne usciremo migliori o peggiori, ma mentre ci siamo dentro, ricordiamo la lezione di Thomas Mann.
Non abituiamoci, non creiamo più monotonia attorno a noi di quella necessaria, non lasciamo sbiadire il senso del tempo, non lasciamolo scorrer-via-nostro-malgrado, non restiamo chiusi in noi stessi tenacemente avviluppati, riempiamo le nostre giornate di contenuti, bellezza, cura, parole, scoperte, progetti.
Tratteniamo il tempo dilatandolo e con esso la vita, finché il tuono che spacca la montagna incantata e mette bruscamente alla porta l’indolente Hans, non arrivi anche per noi.